Indianapolis chiama Hollywood

American Sport ma non solo ! Registrazione necessaria prima di poter dire la vostra.

C’è una cosa che gli americani hanno provato ad insegnare al mondo intero… è il concetto di sport-spettacolo. In alcune occasioni possono dire di avercela fatta, ma sono sempre ben attenti a restare un passo avanti a tutti, in modo da mettere ben in evidenza il loro marchio di fabbrica. Basti pensare al Superbowl. L’evento clou per eccellenza, quello che paralizza gli interi Stati Uniti d’America e una gran parte del resto del mondo.

Indianapolis non fa eccezione. Anzi! Da sempre è l’essenza stessa del motorsport ad uso e consumo dello show. Ma ridurla ad uno spettacolo è un’ingiustizia vera e propria, soprattutto ripensando agli anni in cui persino McLaren e Lotus (quella vera, non la timida replica odierna) andavano alla ricerca del trionfo nel nuovo continente. Ogni edizione della Indy500 ha scritto una pagina di storia delle corse. Quest’ultima non è stata da meno.

Come nelle migliori tradizioni cinematografiche americane, alla fine il sentimento ha prevalso su tutto e tutti. Ma per capirlo bisogna fare un passo indietro. 2011: stesso posto, stessa gara tirata per tutti i 200 giri previsti, ultima tornata… JR Hildebrand, debuttante, sta riportando in patria la vittoria nella Indy500 nell’incredulità degli spettatori. Il tifo lo sente anche nel casco. Da dietro, come una furia sta arrivando Dan Wheldon, già vincitore in passato. JR affronta l’ultima curva con un buon vantaggio, ma cede al nervosismo e sbatte. Wheldon vince. Poi all’ultima gara muore in uno spaventoso incidente. Le telecamere sono tutte per l’amico Dario Franchitti, distrutto dal dolore, incapace di rimettersi il casco anche solo per affrontare un giro in parata nel ricordo del connazionale scomparso.

2012: gara tiratissima per tutti i 200 giri previsti. Come sempre. Nel mezzo succede di tutto. Qualcuno viene invitato ad abbandonare la gara per eccessiva lentezza… E’ il caso dell’ex ferrarista Jean Alesi che con una Lotus “spompa”, in meno di 10 giri è già in zona doppiaggio. Lo stesso avviene per la sua compagna di squadra, la brava Simona De Silvestro. La gara offre anche un po’ di comicità, quando nella confusione dei pit stop Ernesto Viso tampona in piena corsia box Dario Franchitti. La bassa velocità fortunatamente non procura danni, ma molto spavento per i meccanici. Franchitti rientrerà ultimo. C’è anche chi va a sbattere togliendo il respiro a mezzo mondo, in un contatto che ricorda molto l’incidente che spense la vita proprio a Wheldon. Sono Will Power e Mike Conway, con quest’ultimo che sfiora con il casco le reti di protezione. Stavolta la fortuna ha guardato dalla parte giusta, e l’auto di Conway si gira su se stessa e riatterra in pista. Pilota ok, vettura disintegrata. Il peggio è scongiurato.

Metà gara: il duo del team Ganassi passa a condurre le danze, con Franchitti che ha rimontato dall’ultima posizione e si accoda al compagno Scott Dixon. Qualcosa non torna. I piloti di Chip Ganassi sono motorizzati Honda, mentre sia nelle qualifiche che in tutte le gare precedenti, il dominio dei motori Chevrolet è stato totale e impietoso. Eppure i due boys stanno volando! Solo il “kamikaze” Takuma Sato e Marco Andretti, nipote del più famoso Mario, riescono ad inserirsi a fasi alterne nella sfida privata tra i due galletti. Poi la natura (del motorsport…) fa il suo corso, e Andretti attacca la sua Dallara contro il muro. Gli rimarrà il primato dei giri in testa, ben 59.

Nella fase finale della corsa però, il pacchetto dei contendenti alla vittoria finale si rimpolpa con la rimonta di Tony Kanaan, amatissimo dalle folle, e di Ryan Briscoe, autore della pole position ma sempre a centro gruppo durante la gara. Si fa vedere anche l’ex ferrarista Barrichello, ma è chiaro da subito che il passo vincente non è nella sua vettura.

Ultimi giri di gara e Kanaan viene risucchiato dal duo di Ganassi e da Sato che sembra averne più dei suoi rivali. Ormai è chiaro che il giapponese venderà cara la pelle, e che non ha certo intenzione di accontentarsi di una menzione su Twitter! Penultima tornata e Sato infila di prepotenza Dixon, portandosi subito nella scia di Franchitti. Chi vincerà? Ce la farà il piccolo giapponese a dimostrare al dorato mondo della Formula 1 che hanno sbagliato a silurarlo? E Franchitti  rivincerà la Indy500 per la 3^ volta per dedicarla così all’amico scomparso Dan Wheldon? Sventolano le bandiere bianche per annunciare l’ultimo giro. Sato è incollato a Franchitti e non vuole aspettare. Lo affianca nella curva 1, ruota a ruota ad oltre 320 kmh. Lo scozzese non molla un centimetro e tiene la sua traiettoria. Sato, troppo all’interno per una velocità simile, parte per la tangente. Sfiora Franchitti per una manciata di millimetri e si stampa sul muro esterno.

Finisce così, a 3 curve dal termine. E proprio come nei migliori film americani, il sentimento prevale su tutto e tutti. Dario Franchitti vince e dedica all’amico scomparso la vittoria della Indy500. Sul bellissimo trofeo, nei prossimi giorni verrà inciso il suo volto per la 3^ volta. “Ma questa è speciale” dirà in diretta durante la premiazione sulla Victory Line, “perché il mio volto sarà a fianco di quello di Dan…” Lacrime, abbracci, pacche sulle spalle, applausi infiniti. Arrivano anche la corona di alloro, e l’immancabile bottiglia di latte che dal 1936 sostituisce lo champagne. Non mancano la moglie attrice Ashley Judd e il big boss Chip Ganassi. C’è anche Montoya, che corre nella Nascar per lo stesso team. E mentre in sottofondo suonano le cornamuse scozzesi, a coprire gli occhi commossi del vincitore, un paio di occhiali bianchi. Gli stessi che sono stati distribuiti agli oltre 300.000 spettatori prima della gara, in memoria di Dan Wheldon.