NBA FINALS, Appunti sparsi da Oklahoma City

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Le prime due gare della finale NBA sono andate in archivio (1-1- al momento) e la serie ha già regalato una quantità incredibile di emozioni e giocate di livello. Invece di annoiarvi con un resoconto delle partite che probabilmente avrete già visto e rivisto, soprattutto il finale di gara due, o con il tormentone meglio KD o LBJ, ho deciso di analizzare un paio di punti tecnici che sono emersi nel corso di queste gare.

  1. Quintetto alto vs. quintetto basso.

OKC dispone di un quintetto molto alto e fisico e, sulla carta, dovrebbe avere un grosso vantaggio a rimbalzo difensivo ed offensivo oltre ad una presenza intimidatoria in area che dovrebbe sconsigliare avventure al ferro. Orbene, con buona pace di Ibaka, nulla di tutto ciò è emerso fino ad ora. Anzi, se c’è un quintetto che ha funzionato e ha prodotto grossi dividendi è stato quello piccolo di Miami con Bosh centro e Battier/James da quattro.

Brooks ha cercato in tutti i modi di mettere in partita Perkins, lasciandolo a lungo in campo in gara a 2, avendo bene in mente che riuscire ad imporre la presenza dell’ex Boston in campo vorrebbe dire costringere coach Spoelstra a giocare con quintetti più tradizionali e concedere minuti ai lunghi della panchina degli Heat, giocatori dal limitato apporto offensivo. Inoltre il quintetto alto toglierebbe il tiro da tre che spesso viene preso dagli esterni di Miami con metri di spazio sfruttando le giocate di penetra e scarica di LBJ e Wade o i passaggi illuminanti da pick and roll o raddoppio. Al momento questa è una scommessa che Brooks ha perso, basti guardare all’impatto offensivo di Battier in queste finali, ma avrà l’obbligo di provarci ancora almeno una volta.

  1. Playmaking

O lo si ama o lo si odia, difficile rimanere indifferenti. Stiamo ovviamente parlando di Russell Westbrook genio e sregolatezza cestistica dei Thunder. L’ex UCLA è il vero giocatore barometro di OKC, quello che dà l’impronta alla squadra. Il problema principale è che Russel non è un playmaker e spesso e volentieri orchestra l’attacco in maniera assolutamente rivedibile. Questo in sé per sé non è un problema posto che spesso le sue iniziative individuali, sorrette dall’incredibile atletismo e talento offensivo, e le capacità realizzative di Durant pagano la cauzione di un attacco ristagnante ma in generale incidono tantissimo sul ritmo offensivo delle squadra. Se non ti chiami KD o Harden, avere un sistema offensivo dopo il tuo play palleggia per 10-15 secondi per poi cercare di inventare qualcosa non ti aiuta a trovare ritmo e fluidità offensiva. Il primo quarto di gara due ha rappresentato l’esempio peggiore di quanto appena detto.

Il medesimo discorso vale anche per Miami, che quando riesce a fare circolare la palla, invece di bloccarla in punta per un attacco statico di LBJ o Wade magari allo scadere dei 24 secondi, risulta quasi inarrestabile. Miami da questo punto di vista ha fatto vedere ottime cose nelle prime due partite.  Coach Spoelstra ha apportato interessanti variazioni tattiche soprattutto in gara 2, usando Wade in versione “playmaker”, affidandogli all’inizio dell’azione la palla e facendolo creare dal palleggio. Questo approccio apre una serie di opzioni offensive che si traducono in una circolazione molto fluida della palla e in tiri ad alto tasso qualitativo.

  1. Atteggiamento mentale

Miami c’è! Indipendentemente dall’esito delle gare gli Heat hanno dimostrato un focus, una aggressività nell’affrontare le gare e una maggiore attenzione anche nei piccoli particolari.

In entrambe le gare OKC ha iniziato la partita con un atteggiamento sonnolente, andando rapidamente sotto in doppia cifra. Atteggiamento che non si è solo rispecchiato nella metà campo offensiva ma soprattutto in quella difensiva dove le rotazioni e la difesa individuale non sono state nemmeno comparabili con quelle dei secondi tempi delle rispettive partite.

Sebbene i Thunder siano giovani e confidenti di poter recuperare sempre e comunque, ma gara 2 gli dovrebbe avere insegnato qualcosa, l’atteggiamento passivo con cui iniziano le gare ha implicazioni molto più profonde. Grazie al rapido vantaggio in doppia cifra in gara 2 coach Spoelstra si è permesso il lusso di concedere adeguati riposi in panchina a Lebron e Wade, spremuti in gara 1, e allargare la rotazione a quasi nove giocatori fatto assolutamente inusuale che ha pagato importanti dividendi nel quarto periodo.