Lo U.S. Open, nel bene e nel male.

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Non vi è torneo di golf al mondo in cui tutto e il contrario di tutto, possano accadere, nello spazio di qualche buca come allo U.S Open.
Questa 112° edizione all’ Olympic field, sul percorso del Lake Course, ci ha regalato un’ altalena di sensazioni, giorno dopo giorno sempre diverse, con un risultato incerto e inaspettato sino alla fine.
Quando l’ ultima pallina è rotolata in buca alla 18 di un percorso terribile, dal punto di vista di chi lo ha giocato e subito, restano i numeri e i nomi di chi questa edizione l’ ha vissuta da protagonista in positivo o in negativo.
Vediamone alcuni allora.

Webb Simpson
Da oggi è il golfista piu’ ricercato e forse invidiato del mondo.
Una sorta di sconosciuto sino a ieri, entra dalla porta principale nella stanza della gloria, diventando lo US open Champion 2012.
Con due vittorie sul PGA tour in carriera (niente rispetto a quella della maggior parte del field in gara) il 26-enne Americano, non é mai stato preso in considerazione come possibile vincitore, sino a ieri, quando con un giro in 68 colpi ha preso la leadership, finendo con un totale di +1 (72-73-68-68).
Come gia’ successo altre volte, ci si è resi conto, solo in quel momento, che quel punteggio poteva bastare e Simpson, seduto nella clubhouse, ha atteso che i giocatori dopo di lui finissero uno dopo l’ altro, prima di ricevere il bacio dalla giovane moglie, l’ assegno da 1,440,000 dollari e la coppa della leggenda, quella che da bambino ogni golfista in erba sogna un giorno, di poter alzare.

Jim Furik
Potrebbe essere lui ad aver perso il torneo.
Quando dopo il primo giro lo abbiamo trovato nei piani alti della classifica, a -1, abbiamo capito che il percorso era una questione di pazienza e precisione, doti in cui il campione americano è maestro.
Un gioco da tee a green regolare e il carisma necessario per restare leader fino a domenica, nonostante il ritorno da dietro, di alcuni prestigiosi colleghi (Els e Westwood tra gli altri).
Nel giro finale e in ultima partita, il putt lo ha abbandonato, costretto a rischiare troppo e troppo tardi ha chiuso con un 74 al quarto posto.

Graeme McDowell
Lo avevo ricordato, poteva essere la terza volta di un’ Irlandese. E l’ Irlandese in questione è come nel 2010 Mc Dowell, “GMac” per gli amici.
Quando il campo è difficile e la posta in gioco è alta, il piccolo Nordirlandese esprime il suo miglior golf.
Dopo un’ annata fino a d’ ora deludente e amara di risultati sul PGA tour, è lui l’ ultimo ad arrendersi nella giornata di ieri.
Un putt da imbucare di circa 6 metri, alla buca 18, mantengono vive le sue possibilita’ di andare al playoff e contendere a Simpson il titolo.
Quel putt in discesa non entra però, resta secondo.

Tiger Woods
Credo che sabato mattina molti giornalisti avessero concluso il proprio articolo con la frase “Tiger’s back”.
La tigre aveva ruggito, forte, per due volte aveva mandato un segnale della sua presenza.
Con un punteggio di 69 – 70 nei primi due giri, Tiger aveva preso il comando (con Furik) del torneo e sabato un Americano su due avrebbe scommesso sulla vittoria finale del campione.
Due giri perfetti, una strategia di gioco “nuova”, innaturale per Tiger, ma efficace.
Il drive lasciato nella sacca e una padronanza di ferri sul gioco lungo. Precisione e pazienza, per domare il Lake Course.
Poi, risucchiato, da quelle prime 6 buche che lo hanno sempre spaventato, dove devi essere preciso e non puoi permetterti errori di traiettoria. Tra sabato e domenica 7 bogey e 1 doppio bogey solo sulle prime 6, troppo, anche per lui, scompare nel mezzo della classifica.

Rory McIlroy e Luke Donald
Potrei citare molti ma molti giocatori, ma ho scelto loro, che sono il numero 1 e il numero 2 della classifica mondiale, come esempio.
Giocatori che proprio non hanno digerito questo percorso. Umiliati nello spirito e nel gioco, hanno siglato dei punteggi ai quali non sono abituati.
Fatti i bagagli, si sono persi il week-end con troppo anticipo. Si rifaranno, magari al prossimo major in terra amica.

USGA
Sigla che sta per United States Golf Association, quelli che organizzano questo torneo, per farla breve.
Che il 16 sotto par finale di McIlroy del 2011 fosse una mosca bianca nella storia di questo torneo, lo si era capito già da tempo.
Si doveva ritornare al passato, ad un campo quasi impossibile, e così é stato.
Il percorso portato a par 70 (la buca 1 di 520 yards è in realtà un par 5), il rough così alto, i greens innafiati e resi fino a domenica delle lastre di vetro, hanno fatto molte vittime illustri.
Non sono mancate le proteste di chi pensa che giocare su percorsi del genere rischi di mischiare troppo le carte in tavola e i valori in campo.
Chi il campo lo ha giocato poi, lo ha trovato faticosissimo, lo ha maledetto a tratti, pero’ nella splendida cornice della baia di San Francisco ogni golfista al mondo avrebbe sognato di giocarvi tra giovedì e domenica e nonostante tutto non é mancato lo spettacolo che ci si attendeva.