NBA Finals: il verdetto

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Lebron James ce l’ha fatta! I suoi Miami Heat hanno conquistato il loro secondo titolo e il loro MVP di regular season e Finals, the King, ha finalmente ottenuto il suo primo anello, togliendosi di dosso l’etichetta di “loser” (nonostante tutto ciò, c’è stato qualcuno, particolarmente critico con “the chosen one”, che ha sottolineato come LeBron non abbia ancora vinto un anello in una stagione regolare da 82 partite…).

I Miami Heat, dopo aver perso gara 1, hanno chiuso la serie con quattro vittorie consecutive, festeggiando davanti al proprio pubblico il secondo titolo della franchigia e il primo di quelli promessi due estati or sono dai “tres amigos”.

Il fattore che ha inciso maggiormente in queste Finals è stato proprio il numero 6 in maglia Heat: Lebron James.

Una vittoria che giunge dopo 9 anni, dopo mille critiche ricevute (molte delle quali se le è cercate con il famoso show “The Decision” con il quale aveva annunciato in diretta nazionale la sua nuova destinazione) e dopo tanti dubbi sul suo rendimento nelle partite che contano.

In diverse occasioni infatti, James, ha avuto atteggiamenti incomprensibili, quasi irritanti. Pensiamo soprattutto ad alcune prestazioni contro Boston, quando ancora vestiva la maglia di Cleveland, ma anche alle finali dello scorso anno, quando i Dallas Mavericks erano riusciti ad avere la meglio prendendosi la rivincita del 2006.

Dopo la bruciante sconfitta dello scorso giugno (4-2 per mano di Nowitzki e soci), James ha dimostrato di avere tanta fame e soprattutto ha cambiato atteggiamento in campo. E’ stato il migliore in stagione regolare (terzo titolo di MVP) e il migliore anche in questi playoff, comprese le Finals, chiuse in maniera perentoria con una tripla doppia (26 punti, 11 rimbalzi, 13 assist).

La svolta per Lebron James è stata gara 6 delle finali di conference a Boston: lì, con la sua squadra in difficoltà, ad un passo dall’eliminazione, ha tirato fuori una prestazione fenomenale, rendendo chiaro a tutti quanto tenesse a realizzare il suo obiettivo, che alla fine è riuscito a centrare. Oltre alle grandi cifre in attacco, non va sottovalutato anche il grandissimo lavoro difensivo su Kevin Durant.

Un altro personaggio tanto discusso che finalmente può togliersi la cosiddetta “scimmia dalle spalle” è coach Erik Spoelstra che è riuscito a guidare i suoi al successo, nonostante le critiche ricevute fino alle finali di conference. Da lì non ha sbagliato più nulla e ha contribuito alla tanto agognata vittoria.

Decisivi per la vittoria di Miami, oltre ai Big Three (Bosh presente soprattutto a rimbalzo con 9,4 di media, di cui 3 offensivi, e Wade che ha dato il suo contributo quando contava) sono stati i cosiddetti “comprimari”: Battier è stato fondamentale nelle prime gare con le sue triple; Chalmers non ha avuto paura di prendersi le proprie responsabilità anche quando, in gara 4, i Thunder hanno deciso di mettergli in marcatura un Kevin Durant alle prese con problemi di falli: il play degli Heat ha risposto con 25 punti (con 12 punti, sui 25 del team, nel solo quarto quarto); Mike Miller infine è stato letale in gara 5 con le sue triple (7/8 in gara, ad una tripla dal record di triple in una finale che è detenuto dal 2010 da Ray Allen).

Detto dei punti di forza di Miami, andiamo a vedere cosa non ha funzionato nei Thunder. Dopo una grandissima cavalcata che li ha visti eliminare in ordine Mavericks, Lakers e Spurs (ossia le ultime tre squadre vincitrici del campionato NBA), Durant e compagni, sono stati battuti nettamente dagli Heat.

I Thunder probabilmente hanno sottovalutato l’avversario o, comunque, sopravvalutato le proprie potenzialità. Dopo la vittoria in rimonta in gara 1, si sono trovati sotto anche in gara 2, ma da lì in poi non sono stati più in grado di colmare il gap.

Merito della difesa di Miami ma anche dall’assenza ingiustificata di un elemento decisivo come James Harden. E’ stato lui il grande assente in queste Finals, marcato bene dagli Heat che, non potendo fermare Durante e Westbrook, hanno puntato sugli altri giocatori, in particolare sul terzo giocatore dei Thuner.

Kevin Durant ha giocato una grandissima stagione e dei grandi playoff. Il problema di Russel Westbrook è la continuità: un giocatore fantastico, capace di exploit come i 43 punti di gara 4 ma anche di partite giocate male con un eccessivo numero di palloni buttati e di scelte offensive quantomeno discutibili (come già accaduto a tratti contro San Antonio).

Anche la difesa di Sefolosha è risultata meno decisiva che nelle partite precedenti. James, dopo un inizio difficile in cui ha sofferto la presenza del numero 2 dei Thunder, ha capito come comportarsi e, in gara 5, ha costretto Thabo a due falli nei primi minuti, limitando così la sua pericolosità.

Diciamo che gli errori dei Thunder sono sostanzialmente “colpa” della loro giovane età e dell’esperienza che potranno aumentare grazie anche a questa stagione appena conclusa. Hanno tutte le carte in regola per fare bene nei prossimi anni, non gli manca nulla rispetto agli Heat, se non un pizzico di cattiveria e di convinzione in più.

Un altro problema di cui Scott Brooks dovrà tenere conto è quello economico: il compito difficile per Sam Presti sarà quello di gestire i contratti in scadena. In particolare, sarà difficile capire cosa fare con Harden e Ibaka che entrano nell’ultimo anno di contratto e Fisher che diventa Free Agent. Dalle decisioni che verranno prese dipenderà il futuro dei Thunder che per ora resta roseo, anche se compare qualche nuovletta all’orizzonte.