Il Doping corre a 300 km/h

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La notizia di Schwazer positivo al doping, ha gettato nello scompiglio la compagine azzurra, occupata a cercare medaglie in quel di Londra. Forse la debacle patita nel nuoto, ha aiutato a smussasse gli angoli di un problema che, altrimenti, sarebbe scoppiato in mano alla nostra nazionale. E’ inutile negarlo, la piaga del doping è lontana dall’essere sconfitta, anzi. Si nutre costantemente di persone squallide che vantano dottorati di ricerca, ma che impiegano il loro sapere per confezionare scorrettezze invisibili ai controlli. Quanto poi gli atleti siano squallidi anche loro, o ignari di quanto gli viene propinato, questo è un punto di domanda che nulla toglie alla sostanza. Sempre scorrettezza è. Sempre vittoria fasulla resta.

Oggi la maglia nera in materia di furberie è forse sulle spalle del ciclismo a partire dalle categorie amatoriali o comunque giovanili. A breve distanza segue l’atletica, e c’è da scommettere che nemmeno il nuoto sia tanto lindo. Non si è salvato nemmeno il calcio nel recente passato. Ma questo è quello che vediamo noi europei. In America la guerra al dopato è cosa molto sentita, sebbene qualche anno fa la NFL volle sciaguratamente provare a chiudere gli occhi e fregarsene. Troppo ardua la lotta. Tornò sui suoi passi l’anno successivo con ancor più vigore, forse intimorita dalle varie Class-Action che si profilavano all’orizzonte.

Il problema ad ogni modo non quello di stilare la classifica dei cattivi, semmai di identificare il punto debole/cruciale sport per sport. Schwazer si è fatto ingenuamente di EPO. Oggi uno dei prodotti che viene rilevato con maggior facilità nelle verifiche, ma non è detto che i migliori atleti non siano in possesso di quella che viene chiamata “nuova frontiera”.  Qualcosa insomma che ancora per qualche tempo passerà sotto il naso di tutti. Ogni sport ha bisogni diversi, che vanno oltre l’esigenza fisica del singolo. Lo Stile Libero sui 50 metri, avrà bisogno di qualcosa che possa far carburare in modo esplosivo e immediato, e che mal si combinerebbe con le esigenze di chi si smazza i 1500 metri…

La cosa più triste è che tutto questo viene sperimentato anche in quegli sport che non necessitano di aiuti fisici. Contrariamente a quanto si creda, ad esempio, il calcio non è tra gli sport più faticosi. Lo è molto di più il pilotaggio, auto o moto che siano. Non è un parere soggettivo ma uno studio scientifico che lo prova. Ma nemmeno guidare giustifica l’aiutino esterno, perché fisicamente i piloti sono più che pronti. A meno che… non si cerchi la stimolazione della concentrazione per alimentare i riflessi. In questo caso però si dovrebbe parlare di droghe. Illuminante fu la confessione di Niki Lauda che ammise, dopo il suo ritiro dalle gare, di aver fatto uso di cocaina e altre anfetamine. Ufficialmente per riprendersi dall’incidente del ‘Ring nel 76, ma nulla vieta di pensare che non ci fosse l’idea di trovare un escamotage per migliorare le proprie prestazioni.

Da quando il test anti-doping è stato esteso anche alla Formula1, nessun pilota è mai stato trovato positivo. Il motivo è semplice: viene effettuato ad ogni gara e non ad estrazione. Ma nelle altre categorie? Altro salto al di là dell’oceano per guardare cosa è successo in queste settimane nella serie Nascar. A.J.Allmendinger è stato sospeso a tempo indeterminato per essere stato trovato positivo, guarda caso, proprio ad uno stimolante. Il tutto confermato dai 2 seguenti esami di controllo che il pilota ha chiesto ai suoi stessi periti. Ora si sottoporrà al “Road To Recovery”, il programma messo a disposizione dalla categoria stessa per la riabilitazione. C’è da scommettere che A.J. non tornerà comunque più. Non è la prima volta che nella Nascar si verifica questa situazione. Nel 2009 fu la volta di Jeremy Mayfield per metanfetamine. Era solo la punta di un iceberg che vedeva il pilota in questione avere al seguito una vera e propria gang fatta anche di periti di parte. Tra i capi di imputazione anche il furto di materiale privato appartenente ad altri team. Spenderà tutto il patrimonio nel tentativo di cavarsi d’impiccio.

Più triste la vicenda di Tim Richmond. Acclamato come uno dei piloti migliori della categoria, nel 1987 viene trovato positivo al test anti-doping. Vittima di una vita al limite, non certo adeguata a quella di uno sportivo, Tim contrae l’Aids da un rapporto sessuale occasionale. Le sostanze proibite fanno parte di un cocktail farmacologico anti Aids, ma per la Nascar tanto basta per sospendere definitivamente il fortissimo pilota. Le battaglie condotte dalle associazioni per i diritti umani riscatteranno il suo nome, ma non abbastanza dall’evitare a chi di dovere di falsificare gli esami clinici. Niente più licenza per Richmond, che troverà la morte nel 1989.

Morto per Aids, certo, ma non è che l’uso massiccio di doping e le sue “nuove frontiere” portino lontano dall’effetto finale. Barattare la vita per un Oro, non dovrebbe mai essere tra le opzioni.