Baltimora.

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14 settembre, anno 1814. Nel corso della guerra anglo-americana una grossa flotta della Royal Navy attacca le coste davanti alla città americana di Baltimora. Con un incessante bombardamento dal mare le navi inglesi, del capitano Robert Ross, cercano di penetrare nella baia di Chesapeake difesa da Fort McHenry. Una grossa bandiera a stelle e strisce, cucita dalle donne della cittadina del Maryland, sventola su di un pennone all’ interno della roccaforte americana. La mattina dopo, all’ alba, quella bandiera è ancora alta nel cielo. Il fatto ispira un giurista e scrittore di nome  Francis Scott Key a mettere sulla carta qualche riga di una canzone che gli risuona nella testa, il titolo sarà “The Star Spangled Banner”.

Mi sono sempre chiesto cosa passa nei pensieri degli americani quando ad ogni Superbowl, così come in ogni manifestazione pubblica o sportiva di massa, iniziano a librarsi nel vuoto le note del loro Inno Nazionale. Quale idea di unità accomuna persone provenienti da 50 stati diversi tra loro. Se nell’ idea di un’unica Nazione si riconoscano in un sogno americano comune o invece ognuno ha il proprio da rincorrere. E cosa provano gli atleti in campo mentre ad occhi chiusi ascoltano quelle note ? Cosa pensano in quei minuti che li separano dalla partita ?

Al Silverdome di New Orleans, domenica 3 febbraio, di sicuro c’è stato qualcuno che deve aver pensato che il suo sogno stava arrivando all’ apice. Sarebbe bastato un gradino ancora, un piccolo sforzo per arrivare alla vetta. Un sogno iniziato molto tempo prima quando era ragazzino senza la guida esperta di un padre perchè latitante. Tempi in cui bisognava schivare tutti i tranelli che possono nascondersi in un quartiere di quelli sconsigliati ai turisti. Pericoli, che quando sei un afro-americano, spesso ti si appiccicano addosso se non sei bravo a trovarti un impiego nel quale gettarti anima e corpo per starne alla larga. Magari, dedicando il tempo libero ad uno sport, quello che ami o che ti può spianare la strada per aprirti le porte di un college. Un domani poi, pensare di arrivare anche nelle leghe maggiori. Entrare nella NFL, allenarti per garantirti una discreta carriera cercando di lasciare il segno. A volte, rischi comunque di cadere, come in quella discoteca alla periferia di Atlanta quando un coltello di troppo lascia un paio di corpi freddi sull’ asfalto dopo una rissa. Quindici giorni di cella scontati e grazie a dei bravi avvocati riuscire a tornare a giocare con la squadra. Una multa di 250.000 dollari da pagare alla Lega e una reputazione da attaccabrighe da riscattare in silenzio e con buone prestazioni sul campo.

Deve aver pensato al 2000 quando ha incominciato a risalire la china con statistiche da numero uno nel ruolo, forse da migliore di sempre. Al titolo da MVP e alla vittoria nella partita che conta più di tutte. Al suo ruolo da capitano di una difesa destinata a dominare da quel momento in avanti, votata alla fatica, con un rispetto guadagnato tackle dopo tackle. Alle tante stagioni lasciate alle spalle e ad un posto ormai assicurato nella Hall of Fame, tra i migliori.

Avrà ripensato alla conferenza stampa di fine dicembre nella quale ha dichiarato che è tempo di togliere il disturbo, anche se senza fretta. Al discorso fatto nello spogliatoio poco prima di scendere in campo per un’ ultima danza. Avrà pensato a come motivare i compagni o solamente al fatto di non essere in perfetta forma fisica, per via dell’ infortunio al braccio destro, ma nonostante tutto, di riuscire a dare il proprio contributo.

Questo deve aver pensato ascoltando quell’ Inno Nazionale.

Dopo la partita, a palla ferma, lo stesso giocatore chiamato sul podio dei vincitori poteva dire tutto dall’ alto del suo riscatto e ha gridato solo: << Baltimore ! >>.

Andateci a Baltimora !

Fate tappa al Fort McHenry visitabile in un paio d’ ore, andate ad omaggiare la tomba di  Edgar Allan Poe, se volete, ma non dimenticate di passare anche all’ M&T Bank Stadium, quella è la casa dei Ravens campioni del mondo. Lì chiedete del numero 52 (avranno ritirato la jersey probabilmente). Lì ha predicato Ray Lewis.