Vince Djokovic, Nadal non perde, e con Federer scivola via l’ultimo eroe del tennis che fu

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La stagione 2013 che si è chiusa domenica scorsa, va in archivio con la brillante corsa finale di Novak Djokovic, che ha vinto quattro tornei consecutivamente (Pechino, il 1000 di Shanghai, il 1000 di Bercy e poi il Master di Londra), riscattando così una stagione vissuta lungamente all’ombra di Rafa Nadal, che gli ha sottratto la prima posizione nella classifica mondiale e pure inferto le due sconfitte più dolorose dell’anno: la semifinale del Roland Garros (un 9-7 al quinto che Novak faticherà a rimarginare) e la finale dello Us Open (ma deve avergli fatto male anche perdere la finale di Wimbeldon da Murray, a dire il vero).
Da gennaio, quando vinse in Australia (e Nadal non c’era) fino a ottobre, Djokovic ha vissuto all’ombra dello spagnolo, che in quel lasso di tempo di circa 8 mesi, ha collezionato 10 tornei e sembrava praticamente imbattibile. Solo la stagione indoor (e non la stanchezza come indica qualcuno, perché al coperto è sempre andato maluccio,e non si capisce perché dovrebbe essere così stanco visto che ha giocato meno di altri big) ha bloccato Nadal, che ha perso 4 partite in un mese e mezzo (prima solo 3 in sette mesi circa), ma non gli ha tolto la meritata prima posizione finale, che è sua anche se nella finale di Londra è stato dominato da Djokovic ben oltre il 6-3 6-4 finale. La carriera di Nadal è abbastanza singolare: periodi strepitosi (2008, 2010, 2013), altri più complessi e zeppi di infortuni che lo tengono lontano dai campi, ma finché i sospetti di doping resteranno appunto solo sospetti, nessuno gli potrà togliere quello che si è guadagnato sul campo: essere uno dei giocatori più forti, sicuramente sul piano mentale e fisico, mai apparsi sul circuito.
Il Master di Londra ha anche salutato la fine della stagione più amara di Roger Federer, che quest’anno è sceso alla sesta posizione mondiale (anche settima a un certo punto), ha vinto un solo torneo (non gli succedeva dal 2001) ed ha interrotto a Wimbledon una serie infinita di quarti di finale nei tornei Slam perdendo da Stakhovsky al secondo turno.
Federer nel 2014 veleggerà verso i 33 anni, ed è evidente che la sua parabola è discendente: si tratta solo di capire se sarà così velocemente discendente come è stata nel 2013, o se avrà anche lui un colpo di coda alla Sampras, capace di vncere a New York e poi ritirarsi da eroe (ma aveva solo 31 anni, comunque).
Lo svizzero ha dato parte della colpa della sua disastrosa annata ai dolori alla schiena, c’è da verificare dunque se, anche e soprattutto fisicamente, può ancora competere alla pari con gente più giovane e che gioca un tennis che più power non si può, come pure tutta questa stagione ha ampiamente dimostrato.
Federer è stato giocatore in grado, con il suo talento, la classe e il tocco, di rallentare e quasi fermare il progressivo imbarbarimento del gioco, ormai fatto di ritmi elevatissimi, rincorse forsennate e sfoggio di muscoli da parte di quasi tutti gli interpreti principali. Federer ha, appunto, probabilmente solo rimandato e ritardato un processo, iniziato da almeno vent’anni, che porterà il tennis ad essere un lontano parente dello sport che giocava, tanto per citarne uno bravino, Rod Laver una cinquantina di anni fa. Se, insomma come sembra, questa sarà davvero la stagione del canto del cigno per Federer, probabilmente perderemo l’ultimo interprete di un tennis classico e meno potente (non che Roger non fosse anche potente, alla bisogna), un tennis che sembra destinato a sparire per sempre. Almeno fino al prossimo Federer…