Elementare, Watson!

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Termina con un pianto liberatorio, come già successo nel 2012, l’ ultimo round di Bubba Watson, vincitore ad Augusta per la seconda volta in carriera del Masters. Riesce nel difficile compito di ripetersi in un Major e sale di diritto tra i più grandi di sempre. Finisce con un punteggio totale di -8, controllando sulle seconde nove buche un vantaggio di tre colpi sul diretto inseguitore e compagno di partita il ventenne americano Jordan Spieth, secondo del tabellone a -5 in compagnia dello svedese Jonas Blixt.

Watson, figlio di un muratore è nato a Bagdad in Florida ma è cresciuto golfisticamente parlando tra Alabama e Georgia, è uno dei giocatori più amati dal pubblico americano proprio per il suo profilo da ragazzo di provincia. All’ estro e alla fanstasia dei colpi, il mancino americano, abbina una potenza fuori dal comune che, anche in questa edizione del Masters, si è rivelata fondamentale per raggiungere distanze ad altri proibite. L’ esperienza e la capacità di gestire la testa della classifica hanno fatto poi il resto praticamente spianandogli la strada verso il successo.

Una vittoria meritata, costruita grazie a due giri sotto par (69-68) tra giovedì e venerdì, rimessa in discussione sabato con un giro in 74 colpi e poi gestita domenica nel migliore dei modi con un giro finale chiuso in 69 colpi. La svolta del torneo alle buche 8 e 9 del percorso in cui con due birdies consecutivi Watson ha ribaltato a suo favore la classifica raggiungendo prima e scavalcando poi il leader Spieth incappato in altrettanti bogeys.

Con la vittoria a febbraio nel Northern Trust Open Watson aveva interrotto un digiuno di vittorie che durava dalla prima affermazione al Masters del 2012 dalla quale non era riuscito del tutto a riprendersi a causa dei molteplici impegni legati ai vari sponsor acquisiti dopo il successo ad Augusta. La buona condizione di questo inizio di stagione è il frutto di un ritrovato ritmo di lavoro.

Watson a parte, questa edizione del Masters non passerà certo alla storia per essere stata una tra le più combattute.

Domenica il pubblico ha tentato in tutti i modi di spingere il giovanissimo esordiente Spieth ad un’ impresa storica, vincere il Masters a soli vent’ anni e diventare il più giovane della storia a riuscirci. Il ragazzino texano, vincitore sul PGA tour del John Deere Classic a soli 19 anni, però ha dovuto pagare in termini di colpi persi, una volta presa la testa della classifica, la pressione di una tale impresa. Stesso discorso per il trentenne svedese Jonas Blixt, europeo di passaporto ma prodotto da Florida State University e cresciuto sul PGA tour americano. Per lui un secondo posto conquistato con quattro round sotto il par (70-71-71-71) che vale oro, ma mai veramente in lizza per un successo finale.

Edizione che invece passerà alla storia per le assenze: quella nota di Tiger Woods, quella alla buca 17 dello storico Eisenhower Tree, tagliato dopo un rigido inverno e quella dei giocatori europei, almeno quelli che ci aspettavamo alla vigilia potessero interrompere un digiuno di vittorie che dura dal secolo scorso. Nessuno veramente a suo agio sul percorso di Augusta, con il solo McIlroy parzialmente salvatosi, finito nei primi dieci, ma con nessuno capace di avvicinarsi alla testa della classifica. Troppo lontani infatti i vari Rose, Poulter, Garcia, Donald, McDowell e Kaymer tanto per citarne alcuni, mediocre anche la prestazione dei nostri Molinari e Manassero.

Resta curioso il fatto che nei primi posti invece si siano piazzati “giovanotti” del calibro di Jimenez (50 anni), Westwood (41), Bjorn (43) e perfino un redivivo Langer (56), solo questione di esperienza ?

Forse sì : “elementare Watson” !