The Open (sometimes it’s not easy) !

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A volte non è facile raccontare tutte le emozioni che l’ Open Championship regala ad ogni nuova edizione. Giunto alla sua 141-esima candelina, il torneo più antico del mondo, ha mostrato tutta la tradizione, la cultura e la bellezza di un evento unico nel suo genere. Nella cornice dello straordinario Royal Lytham & St Annes, campo incastonato nella cittadina del Lancashire che lo circonda, si è consumata una delle edizioni dell’ Open dal finale più inaspettato e incredibile della storia di questo sport.

L’ Open Championship non è nuovo a questo tipo di finali, non è mai facile capire se sia stato veramente merito di chi ha vinto o semplicemente incapacità e mancanza di determinazione di chi ha perso, resta il fatto che ancora una volta sembra ridicolo fare pronostici in uno sport dove basta un rimbalzo sbagliato per cancellare una carriera. Nella giornata di domenica, in cui il vento ha pensato bene di rendere ancora più cattivo il par 70 del Lytham, ogni giocatore ha dovuto far fronte ad una situazione diversa a quella dei tre giri precedenti in assenza di vento e provare a seguire una nuova strategia per terminare le 18 buche del percorso salvaguardando il proprio score. Sono i links, campi sui quali solo i campioni riescono a non farsi sopraffare dai momenti di sconforto, che arrivano sempre prima o dopo, e che a volte possono palesarsi nella maniera più inaspettata e dolorosa possibile.

Adam Scott, 32-enne australiano, aveva il torneo in pugno dopo essere partito al comando del giro finale, con un patrimonio di quattro colpi sulla coppia McDowell – Snedeker e con Woods subito dietro a cinque colpi. Dopo le prime nove buche con vento a favore, sembrava aver azzeccato la strategia vincente, tenersi lontano dai pericoli disseminati sul campo, evitare i bunker e cercare di mettere la palla in fairway, giocare in maniera conservativa nella speranza di siglare più par possibili e costringere i suoi diretti inseguitori ad attaccare e sbagliare.

Da dietro buone notizie, troppo lontani i vari Zach Johnson, Matt Kuchar e Luke Donald per poter pensare a qualche rimonta e soprattutto con i destini dei suoi avversari diretti che via via sembravano aprirgli la porta del successo al suo primo Major in carriera.

Destini amari e crudeli, come quello di Woods, incappato in un triplo bogey alla buca 6, complice un uscita dal bunker del green di quelle impossibili e frequenti su questi percorsi. Uscito di scena ed incapace di attaccare e picchiare la palla sulle seconde nove buche nonostante il vento a sfavore, si è rifugiato in un terzo posto finale a -3 (67-67-70-73), lontano dall’ essere il giocatore che tutti aspettavano ieri. Insieme a lui sul terzo gradino del leaderboard l’ americano Brandt Snedeker (66-64-73-74), fenomenale per precisione dal tee a green tra giovedì e venerdi, ma vittima tra sabato e domenica di traiettorie imprecise. Troppi bunker presi, poche palle in fairway, salvato da un ottimo controllo del putt, da uno score ancora più punitivo del – 3 finale. Non bene anche McDowell, il nordirlandese sembrava poter essere favorito dalle condizioni di vento forte della domenica ed invece è  apparso poco incisivo, pesante sui secondi colpi, fino a girare alla buca 11 un legno direttamente nel bosco, da li in avanti si è spenta la luce per G-mac, resta il miglior europeo con uno score di 278 colpi (67-69-67-75) al quinto posto insieme all’ inglese Luke Donald a – 2.

Tutti a giocare per Adam Scott, a nove buche dalla fine in pieno controllo sul proprio gioco e con una mano sulla coppa d’ argento destinata al vincitore (the Claret Jug) . Tutti tranne uno. Un campione, di quelli che questo torneo lo hanno già vinto (2002 a Muirfield), di quelli che amano i links e non hanno paura di osare quando non hanno nulla da perdere. Ernie Els alias “Big Easy”, con tre Major già in bacheca, decide di attaccare sulle seconde nove buche del percorso. Drive dal tee, ferri in green e putt che vanno a segno, osa anche al par 4 della 16, quando con il drive dal tee cerca di arrivare direttamente in  green, attacca e si diverte, quello che gli altri non provano e non riescono a fare. Al par 4 della 18, inbuca un putt da 3 metri, per un birdie finale, nel boato del pubblico competente e composto dell’ Open, chiude con un totale di 273 (67-70-68-68) a -7 dopo i birdie alle buche 1o,12,14 e 18 sulle seconde nove.

Non basta, serve il destino, Scott ha ancora 3 colpi di vantaggio su Els con quattro buche da giocare. Non e’ facile pero’ controllare la pressione che improvvisamente ti arriva come una valanga sulle spalle. Alla difficile buca 15, Scott sigla un bogey quasi automatico. Alla corta buca 16 sbaglia un putt cortissimo, altro bogey. Alla 17 gira un ferro nell’ erba alta, appena fuori green e non recupera con il putt, bogey. Poi la 18, con un legno direttamente in bunker dal tee e un insidioso putt che fa la barba alla buca e nega anche un possibile playoff con Els. Nulla da fare, quattro buche finali e quattro colpi persi per Adam Scott che chiude a – 6 (64-67-68-75) in seconda posizione. Addio primo Major, addio vittoria e sogno di gloria.

A volte non è facile, arrivare secondo, lo sa anche Big Easy che spende parole di conforto per il collega australiano, che ringrazia tutti quelli che lo hanno sostenuto e bacchetta chi lo dava per finito a 42 anni, augura buon compleanno al connazionale Nelson Mandela e ricorda il figlio autistico Ben come spinta emotiva al suo gioco, alza e bacia il Claret Jug ora che è diventato leggenda dell’ Open Championship.