Will-Powerite, la nuova sindrome

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Enzo Ferrari firmò un libro dal titolo “Piloti, che gente!”. Ne descrisse la mentalità, le manie, le follie dei drivers con cui aveva condiviso le avventure. Ma non aveva avuto modo di confrontarsi con una nuova scuola di pensiero, la “Will-Powerite”. Una sorta di sindrome di Paperino, sapientemente miscelata con la sfiga cosmica di Willy Coyote e l’insicurezza cronica di Woody Allen. Non può essere descritto meglio un pilota che arriva all’ultimo weekend di campionato in testa alla classifica e va ripetendo (autoconvincendosi…) che perderà ancora una volta…

Detto fatto! 17 punti di vantaggio buttati al vento, o meglio, stampati contro il muro che lo ha accolto verso il 55esimo giro dei 250 in programma. Perché un pilota con un talento simile arrivi ad auto-condizionarsi l’esistenza in questo modo è un vero mistero. E dire che nemmeno la vita affettiva gli è stata avversa, vista la bellezza esagerata di Elizabeth, la sua biondissima moglie.

Non è tuttavia la prima volta che si assiste a crolli psicologici da parte di atleti in generale. Un esempio nostrano è quel gran campione di Alex Del Piero, protagonista a fine anni ‘90 della “paura di scendere in campo”. Fu letteralmente salvato dal motivatore guru Roberto Re (suo il libro “Leader di te stesso”), che lo seguì personalmente 24 ore al giorno fino a rovesciarlo come un calzino. I dettagli non sono disponibili perché sono stati rivelati in via confidenziale al sottoscritto e pochi altri, durante un’incontro con Re stesso, ed è giusto che certi segreti restino tali, ma la devastazione a cui era arrivato Alex non è nemmeno immaginabile.

A questo punto la domanda però sorge spontanea: perché Power non ha un motivatore al suo fianco? Non sarebbe certo l’unico pilota a servirsene, e non sarebbe certo uno scandalo. In Formula1, sotto mentite spoglie (vedi fisioterapisti personali), i grandi campioni come Alonso ed Hamilton piuttosto che Schumacher ne hanno uno ciascuno. Forse il solo Raikkonen ne fa a meno, ma dopotutto lui è Iceman… E’ probabile che Massa ne abbia un paio, ed è altrettanto probabile che non vadano d’accordo l’uno con l’altro! Scherzi a parte, il problema è serio, perché Power non corre per un team di media classifica, ma per la Penske, squadra che potrebbe essere considerata un’ideale mix tra la Ferrari e la McLaren. Ciò nonostante quest’anno sono stati collezionati errori di ogni tipo, non ultimo quello di lasciare strada libera a Briscoe (il compagno di Power) nell’intralciare il cammino del suo caposquadra, come a Sonoma dove arrivarono uno dietro l’altro, ma nell’ordine sbagliato.

Sia ben chiaro, a nessuno piacciono gli ordini di scuderia, ma Briscoe non è mai stato nelle condizioni di provare una rimonta. Un po’ come il povero Massa alla Ferrari, vittima sacrificale degli ordini di squadra che giustamente gli vengono ricordati, non fosse altro perché il punteggio lo condanna impietosamente. La beffa è che se a Sonoma l’ordine a Briscoe fosse stato impartito, adesso Power sarebbe il campione della Indycar pur senza arrivare in fondo alla gara, considerato che il nuovo campione, Ryan Hunter-Reay, ha concluso in 4^ posizione sopravanzandolo di soli 3 punti. In buona sostanza a Power sarebbe bastato arrivare in fondo alla zona punti.

A tal proposito, non si può certo negare che ci abbiano provato tutti a dargli una mano. In primis i suoi meccanici che hanno prodotto un vero miracolo ricostruendo tutto il lato sinistro distrutto nell’incidente, e ributtandolo in pista alla sperindio con ben 69 giri di distacco. Ritiratosi comunque, ci ha pensato addirittura la federazione per mano dei commissari a tentare il colpo gobbo. Un’ incidente di Kanaan a 8 giri dal termine fa esporre la bandiera rossa. Tutto viene riassunto dalla faccia allibita (inquadrata in TV) di Michael Andretti,  boss dell’omonimo team per cui corre Hunter-Reay. Le imprecazioni a denti stretti sono eloquenti. Gara congelata fino a nuovo restart. Ovviamente non vi erano pericoli di sorta in pista, in quanto i piloti potevano transitare comodamente con bandiera gialla e Safety Car, ma così facendo si sarebbe conclusa la gara sotto neutralizzazione, cosa non certo gradita al pubblico.

E così via, per altri 8 interminabili giri dove Hunter-Reay ha subìto ogni sorta di attacco, e dove il suo compagno Marco Andretti, gli ha fatto da copri spalle, come dovrebbe fare un buon team-mate che non lotta per il campionato. E ancora tanta suspance quando, per 2-3 giri, Hunter-Reay e Sato sono rimasti costantemente affiancati. E’ il momento clou della gara. Quando Power è andato a muro al suo fianco c’era proprio Hunter-Reay, che solo per un soffio non è stato coinvolto nello schianto. Sato non è da meno. All’ultimo giro il giapponese perde il controllo, sfiora anche lui Hunter-Reay e si stampa nel muro, da solo.

Finisce così un campionato combattuto fino all’epilogo finale tra Power e Hunter-Reay, e tra Power e se stesso. “Ha meritato il campionato perché ha vinto più gare di tutti. Giusto così. Tanto io non vincerò mai…”. Questo il Power-pensiero nel dopogara, ma quanta amarezza per un talento così.