Grandi trade nella NFL: chi ci guadagna davvero?

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Il recente infortunio all’anca del WR di Seattle, Percy Harvin, che lo terrà fuori per quasi tutta la prossima stagione, solleva ancora una volta un interrogativo su chi ci guadagni davvero nelle grandi trade che occasionalmente la NFL propone.

Harvin nell’idea di Seattle avrebbe dovuto essere il pezzo mancante per arrivare al Superbowl e per questo sono state cedute ai Minnesota Vikings una prima scelta più un’altra di metà round (con tutta probabilità una terza). Inoltre al giocatore è stato dato un nuovo contratto di 6 anni per un ammontare di 67 milioni di dollari di cui però solo 14,5 pienamente garantiti.

Questa trade è l’ultima in ordine di tempo e probabilmente impallidiscono tutte di fronte alla madre di tutte le trade quella del 1989 per il RB Herchel Walker che vide protagonisti sempre i Vikings (corsi e ricorsi storici) ed i Dallas Cowboys.

I Vikings, convinti che Walker fosse il pezzo mancante per arrivare al Superbowl cedettero a Dallas 3 prime scelte, 3 seconde, 1 terza più altri veterani. Effettivamente una squadra a seguito di quello scambio arrivò a vincere dei Superbowl ma non furono i Viking, bensì i Cowboys che grazie a quella pioggia di scelte riuscirono a scegliere nei draft successivi giocatori del calibro di Emmit Smith, Darren Woodson, Alvin Harper e Russell Maryland.

Walker giocò per Minnsota solo 2 annate e mezzo e senza mai raggiungere le 1000 yards a stagione.

Negli anni successivi ce ne sono state parecchie altre che hanno coinvolto giocatori del calibro di Ricky Williams, Joye Galloway, Keyshawn Johnson, Jay Cutler ed altri.

Una costante di questi scambi è che c’è quasi sempre potere contrattuale da parte di chi vende, anche se spesso le squadre che cedono lo fanno solo ed esclusivamente perché sanno che un certo giocatore non rientra più nei loro piani oppure perché sarà difficile rimetterlo sotto contatto a causa delle sue esose richieste economiche.

Nonostante la legge della domanda e dell’offerta ci dica che quando uno è costretto a vendere il valore della sua merce si deprezza per definizione, nella NFL questo non succede perché le squadre sono sempre alla ricerca di buoni QB, RB o WR (soprattutto i primi) e spesso si scatenano delle aste tra le franchigie per assicurarsi questi giocatori.

Il giudizio sulla trade di Harvin è ovviamente ancora sub iudice, non avendo ancora giocato un singolo snap per la propria franchigia, ma andando a vedere i grandi scambi del passato pare di poter dire che a guadagnare molto spesso siano stati coloro che vendevano, perché hanno realizzato un profitto di gran lunga superiore rispetto alle prestazioni rese dai giocatori ceduti.

Ricky Williams è forse quello che quello che rappresenta di più questo paradosso essendo stato oggetto di una grande trade per ben due volte in carriera. Nel 1999 quando Mike Ditka dei Saints cedette tutte le scelte di quel draft e la prima e la terza di quello successivo per il RB da Texas.

Williams giocò ai Saints solo 3 anni e non raggiunse neanche lontanamente il potenziale che Ditka aveva visto in lui e che lo aveva spinto a paragonarlo ad un grande del passato come Earl Campbell.

Nel 2002 venne ceduto ai Dophins per ben 4 scelte di cui due prime. I Dolphins che avevano in Norv Turner il loro OC sembravano un fit perfetto per lui ed, infatti, in quella stagione stabilì tutti i suoi record con 1.853 di yards corse, 16 TD e 43 ricezioni per altre 363 yards ed 1 TD. Nel 2003 i suoi numeri furono in calo ma sempre piuttosto buoni.

Al termine di quella stagione Turner lasciò l’organizzazione per andare a fare il capo allenatore a Oakland e Williams iniziò la sua parabola discendente fatta di un ritiro anticipato nel 2004, un rientro nel 2005 ed una successiva squalifica di anno nel 2006 per positività ai test antidoping.

Perché questa costante? Perché i giocatori ceduti quasi mai “performano” in maniera corrispondente al prezzo, in termini di scelte, pagato per averli.

La risposta non è semplice e forse nemmeno univoca poiché coinvolge diversi aspetti, ma analizzando tutte le varie trade avvenute si può abbozzare una qualche spiegazione.

In primo luogo c’è da considerare la conoscenza del giocatore. Le squadre considerano “oro” le loro stelle e quando decidono di privarsene questo rappresenta sempre l’extrema ratio. Chi cede conosce alla perfezione il talento e i problemi connessi a quel giocatore e sono sempre quei problemi che sono all’origine della decisione di privarsi della propria stella.

Chi invece acquista gioco forza non può essere così” sul pezzo”, semplicemente non ha tutte le tessere del puzzle e questo porta a sottostimare alcuni problemi o difetti che si ripresentano presso la nuova franchigia e che spesso sono la motivazione alla base della cessione.

In secondo luogo c’è l’estrema complessità dei sistemi offensivi e difensivi NFL.

Il rendimento di un giocatore è spesso legato a determinate caratteristiche intrinseche della squadra per cui gioca e che esulano dal suo talento (sistema di gioco, caratteristiche tecniche dei compagni di reparto) che non sono sempre replicate o replicabili presso la nuova squadra con un effetto negativo sulle prestazioni del giocatore.

In conclusione credo che si possa affermare chi per chi acquista spesso le migliori trade sono quelle che non si fanno…