Peyton Manning: due mesi che valgono una carriera

American Sport ma non solo ! Registrazione necessaria prima di poter dire la vostra.

Nel Marzo 2012 quando Peyton Manning scelse di firmare per i Denver Broncos fu una sorpresa per molti. Sulla carta Tennessee e San Francisco, le altre due contenders, parevano poter offrire qualcosa di più all’ex QB di Indianapolis.

Tennessee è lo stato in cui Manning ha giocato per 4 anni al college, lì è ancora adorato e la dirigenza dei Titans, oltre ad un lauto ingaggio, gli avrebbe permesso di rilevare una quota della proprietà della franchigia. I 49ers, con una difesa sensazionale ed un grande gioco di corsa, sembravano l’opzione più sicura per tornare al Superbowl in tempi rapidissimi.

Cosa ha reso Denver più appetibile rispetto alle altre due squadre? Sicuramente l’ingaggio, i Broncos, avendo tantissimo spazio nel salary cap, hanno accolto senza colpo ferire la richiesta di Manning di un contratto quinquennale per 96 milioni di dollari. Tuttavia sarebbe riduttivo ricondurre tutto a questo.

Quello che è trapelato dal clan dei Manning, qualche giorno dopo la firma, è che l’ex QB di Indianapolis era intenzionato a giocare per John Elway, perché quest’ultimo era riuscito in un compito molto difficile: vincere degli anelli a fine carriera.

Per Manning arrivato ormai all’età di 36 anni con un collo malandato che non gli ha più riconsentito di lanciare con la stessa potenza che aveva un tempo, Elway rappresentava la scommessa più sicura per tornare al grande ballo.

Elway sapeva come fare e Manning era intenzionato ad imparare da uno dei più grandi. In realtà se si confrontano quei Broncos con quelli attuali le similitudini non sono moltissime. La squadra di Elway era aiutata da un attacco sulle corse sensazionale costruito sul sistema di bloccaggi a zona di Alex Gibbs e sfruttato al massimo da un RB come Terrell Davis ed anche difensivamente quei Broncos sembravano una squadra più solida di quella attuale.

La squadra di Denver che si giocherà il titolo domenica notte ricorda di più i Colts degli anni d’oro, quelli a metà degli anni 2000, dove Manning non era costretto a giocare da solo ma era aiutato da un discreto gioco di corsa, da una batteria di WR e TE di ottimo livello e da una difesa che, seppur non tra i primi posti nelle statistiche della lega, aveva avuto un ruolo importante nell’unico titolo fin qui vinto dall’ex QB dei Colts.

Esattamente come Elway, Manning può utilizzare questo finale di carriera per cambiare un po’ la percezione che alcuni appassionati NFL hanno di lui. Un record modesto di 11 vittorie e 11 sconfitte nei playoffs ed un solo anello vinto, a dispetto dei due ottenuti dal fratello considerato meno bravo, hanno sollevato dei dubbi sulla sua capacità di essere un vero vincente.

Rispetto al suo grande rivale del decennio, Tom Brady, ha concretizzato decisamente di meno ma soprattutto, ed è quello che gli viene rimproverato, è parso meno decisivo per la sua squadra rispetto al suo rivale di New England.

Secondo alcuni Manning è rimasto un po’ vittima del proprio talento. La sua capacità di elevare le prestazioni dei propri compagni di reparto accompagnata dai lucrosi contratti che ha firmato con i Colts, ha da una parte limitato le possibilità di Indianapolis di rinforzare la squadra e dall’altra ha portato l’ex GM dei Colts, Bill Polian, ad avere un atteggiamento poco aggressivo al draft per cercare di mantenere la franchigia ai livelli della prima metà degli anni 2000.

Sebbene la NFL nel corso degli anni si sia trasformata in una passing league, che ha esaltato le doti di Manning e nascosto le debolezze intrinseche di Indianapolis, ai playoffs tutte le mancanze della squadra dell’Indiana sono apparse in tutta la loro evidenza.

Questo perché quando si tratta di partite senza domani, dentro o fuori, spesso giocate su campi pesanti o al freddo, non è più sufficiente essere belli e produttivi sui passaggi. Serve saper correre la palla e fermare le corse e sotto questo punto di vista i Colts della seconda metà degli anni 2000 non sono sempre stati all’altezza.

Questo è forse la cosa più importante che i Broncos dovranno tenere a mente per uscire vincitori nel XLVIII Superbowl di domenica notte contro i rognosissimi Seahawks. Seattle è una squadra che difensivamente sembra costruita per fermare Denver.

Difesa feroce sulle corse e secondarie fisiche e asfissianti in grado di poter limitare di molto il potenziale offensivo di Denver fatto di superstar come Demaryus Thomas, Eric Decker e Julius Thomas.

Non è una partita che Denver può pensare che Manning sia in grado di vincere da solo, altrimenti l’ennesimo fallimento del passatore dei Broncos potrebbe essere dietro l’angolo. E’ un Superbowl, come quelli vinti da Elway a fine carriera, dove i Broncos non devono chiedere al proprio QB di strafare, consentendogli, per quanto possibile, di costruire dei drive lunghi che coinvolgano il maggior numero di elementi dell’attacco senza obbligarlo a forzare.

Per Manning questa è probabilmente l’ultima occasione per cercare di vincere un secondo anello che nobiliterebbe la sua carriera e taciterebbe le critiche nei suoi confronti.

Tuttavia questo non è l’unico obiettivo di Manning che nei prossimi due mesi si gioca una fetta importante della sua carriera. A Marzo è prevista una visita medica congiunta con i Broncos per valutare le condizioni del suo collo. Se l’esito fosse negativo Manning potrebbe dover dire addio alla sua carriera, anche se lui ha ribadito la sua voglia di continuare.

Per Manning non c’è solo in ballo un altro anello ma la possibilità di diventare a livello statistico il più grande QB della storia della NFL. Lo separano da Bret Favre appena 17 mete (491 contro 508) per il record del maggior numero di TD passati e solo 6.874 yards (64.964 contro 71.838) per superare sempre l’ex QB dei Packers per il maggior numero di yards lanciate.

Insomma ancora per un paio di stagioni per consolidare la sua posizione come uno dei più grandi di sempre.