Mixed Martial Arts

American Sport ma non solo ! Registrazione necessaria prima di poter dire la vostra.

Quando il 12 novembre 1993 poche migliaia di spettatori si ritrovarono alla McNichols Sports Arena a Denver per assistere al primo evento denominato, nel solito iperbolico stile americano, Ultimate Fighting Championship 1, nessuno dei presenti avrebbe potuto immaginare di essere in qualche modo pioniere e testimone (insieme ai circa 86.000 spettatori che comprarono il programma in PPV) di un evento storico che avrebbe cambiato la storia dello sport e in un certo modo anche del cosiddetto sport entertainment.
Quella che in un’epoca ancora d’oro per la boxe professionistica e il pro wrestling targato WWF fu vista come un unicum senza futuro per pochi appassionati è oggi una organizzazione forte, consolidata, con mille ramificazioni e che si appresta a celebrare il suo 25° anno di attività con una serie di eventi celebrativi fra i quali spicca, nell’Ultimate Fighting Championship 226, il suggestivo incontro fra il campione del mondo dei pesi massimi, Stipe Miocic il pompiere di Cleveland, e quello dei massimi leggeri Daniel Cormier, ex olimpionico di lotta libera.
Oggi dire mixed martial arts significa parlare di UFC e l’UFC è in qualche modo l’epitome delle arti marziali miste.
Ma facciamo un passo indietro e vediamo come tutto è nato.
L’idea alla base del primo evento era quella di rispondere all’interrogativo di molti fans sportivi: “Può un lottatore battere un boxer?”. La domanda in questione, va detto, in qualche modo circolava in certi ambienti da tempo e quando gli americani si interessarono a questa questione in Brasile esisteva da tempo una forte tradizione di scontri “interstile” che aveva portato allo sviluppo di una formula di confronto denominata “Vale Tudo” (espressione che si presta a pochi fraintendimenti….) dove ci si confrontava a suon di calci, pugni, proiezioni e lotta a terra.
Ed è proprio il Brasile in qualche modo a segnare la storia di questo sport perché, fra gli 8 concorrenti selezionati per il primo torneo – da svolgersi in un’unica serata – , spicca un magrolino ragazzo praticante di jujitsu e rappresentante della scuola di famiglia; quel ragazzo si chiamava Royce Gracie e quella sera fece la storia dello sport vincendo il torneo contro avversari ben più grossi di lui fisicamente e più aggressivi.
Le arti marziali fatte di supermaestri con poteri incredibili e mosse segrete erano arrivate finalmente a un duro incontro con la realtà, il jujitsu brasiliano saliva agli onori delle cronache e nascevano così le arti marziali miste (MMA), al tempo la capacità di lottare e colpire semplicemente sommando varie discipline mentre oggi uno sport vero e proprio o, se preferiamo, una disciplina vera e propria.
E da quel giorno ovviamente è stato un susseguirsi di eventi che hanno avuto nella sua veste principale proprio pochi giorni fa l’edizione numero 220. L’embrionale organizzazione del 1993 è diventata oggi una compagnia inernazionale che nel 2016 è stata venduta alla WME/IMG per 4 miliardi di dollari, che ha contratti in esclusiva con la Reebok e con la Fox, che ha una linea di palestre in franchising in varie parti del mondo, giochi dedicati sulle maggiori consolle e una miriade di servizi digitali online, gratuiti e a pagamento.
I più famosi atleti professionisti hanno preso un po’ il posto dei pugili degli anni 80/90 e sono oggi membri a tutti gli effetti del jet set sportivo, ricercati dai media, sostenuti da tanti vip che spesso affollano il bordo ring (o ottagono per essere precisi) degli eventi di maggior appeal e corteggiati dalle ditte del settore sportivo oltre che chiaramente imitati dai più giovani.
A livello pratico uno dei successi delle mma sta nella sua facile fruibilità per chiunque a prescindere dalla conoscenza più o meno dettagliata delle regole.
Gli incontri si tengono in un ring di forma ottagonale (chiamato per l’appunto “The Octagon”) con pareti alte 1.80 m di rete metallica con diverse imbottiture di protezione e un diametro di 9.1 m.
I match sono composti da tre o cinque round della durata di cinque minuti ciascuno: gli incontri con in palio un titolo e i “main event” sono sempre su 5 round, tutti gli altri su 3.
I modi più semplici per aggiudicarsi la vittoria e fare terminare un match sono il classico KO (quando uno dei due contendenti di fatto finisce al tappeto impossibilitato a continuare), il KO tecnico (quando l’arbitro valuta uno dei due impossibilitato a continuare in sicurezza e interrompe il match) e la Sottomissione (quando a seguito di una leva o un tentativo di strangolamento uno dei due contendenti si arrende battendo ripetutamente la mano al suolo o sul corpo del suo avversario) che è una delle caratteristiche della disciplina e che la rende sicuramente diversa da qualsiasi altro sport da combattimento.
Un approccio semplice che spiega in qualche modo il grandissimo successo di una disciplina che ormai fa parte a pieno titolo della galassia degli sport made in USA e che cercheremo di conoscere piano piano.

Piergiu 74