Tigre o lumaca ? L’ anno che verrà…

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Non preoccupatevi, non siete capitati nella lettura del nuovo Oroscopo per cuori solitari e nemmeno vi spiegherò come calcolare l’animale a cui corrisponde il 2018 nel Calendario cinese.
Si potrebbe anche pensare che con il Carnevale che avanza, vi illustrerò come preparare un costume per l’occasione; no niente di tutto questo, poiché l’animale di cui stiamo parlando è un’altra cosa.

Qualcuno di voi starà già sobbalzando sulla sedia leggendo di una “tigre” e si starà domandano, (citando un noto comico e cabarettista italiano)

ma è lui o non è lui ? certo che è lui : Tiger Woods.

Per i tre o quattro al mondo che non sapessero di chi sto parlando vi rimando ad un mio pezzo precedente :

Quando Tiger era Tiger.

Ci eravamo lasciati in questo blog più o meno nel momento in cui l’era della Tigre sembrava tramontare, nel momento più basso della carriera del campione americano, tra pessime figure in campo, problemi fisici, continue cancellazioni dalle liste dei tornei e vita privata alla deriva.

Di fronte ad un vuoto cosmico lasciato dal suo ritiro dal movimento golfistico mondiale, insieme ad un’incurabile nostalgia nei cuori dei  milioni di fans che avevano mal digerito il modo con cui l’uomo, prima ancora che il campione, si fosse eclissato.

Oggi, potremmo dire che è tutta acqua passata; per lo meno lo sperano gli stessi fans che in questi anni di buio non lo hanno mai abbandonato.

Già perché quest’anno dovrebbe essere, finalmente, l’anno giusto.

Quello del ritorno definitivo e a pieno titolo alle competizioni.

In realtà Woods è tornato a giocare ufficialmente ad inizio dicembre 2017, all’ Hero World Challenge, ma è stato poco più di una prova generale, visto che il torneo alle Bahamas prevede solo 18 professionisti in gara tra Oceano e ombrelloni.

Tutti, allora lo aspettavano a fine gennaio al suo primo appuntamento stagionale a San Diego in California, al  Farmers Insurance Open (vinto per sette volte in carriera, non dimentichiamocelo) sul percorso South di Torrey Pines; circolo, che lo ha visto trionfare tra l’altro nello U.S. Open del 2008.

E, per quanto abbiamo visto, possiamo contare su una buona dose di fiducia sul fatto che le cose potranno andare nel verso giusto.

Per prima cosa c’è da analizzare la condizione fisica, forse quella più importante per uno sportivo che ha subito quattro operazioni alla schiena in meno di quattro anni. Woods, 42 anni compiuti, ha dovuto ovviamente cambiare diversi aspetti del suo swing, cercando di caricare meno la rotazione della schiena per usare maggiormente le braccia nel movimento di discesa.  Al Farmers, spesso, ha dovuto recuperare giocando dal roungh o dall’ erba alta ma il fatto che non abbia manifestato fastidi alla fine dei quattro giri è un grande segnale positivo.

Sulla precisione del  gioco lungo ha lasciato molto a desiderare; con il drive ha percentuali intorno al 30% di farways presi, ma il fatto che poi abbia comunque un 67% di greens in regulation la dice lunga sulla bontà dei colpi corti o medio-corti.

Un altro aspetto del tutto positivo sta nello spirito di competizione che ha dimostrato, non mollando mai anche di fronte a qualche errore, soprattutto nel secondo giro e conquistandosi il taglio con un necessario birdie alla sua 32° buca. Nel week end ha comunque segnato un ottimo 70 al sabato per finire con un giro in par alla domenica in 23esima posizione.

E poi c’è l’ aspetto mediatico, il fattore Tiger.

Già perché che il Farmers Insurance Open sia stato il torneo del suo ritorno se ne sono accorti tutti, di quello che poi è successo in campo, a tutti gli altri, un pochino meno. Woods ha calamitato l’ attenzione di un pubblico mai così numeroso, creando code ovunque passasse e influenzando una regia che ha faticato a staccare le telecamere sul soggetto in questione; chiedete a chi su Sky ha sperato di vedere qualche colpo di Francesco Molinari.

Tutto nelle regole?

Forse si o forse no, si è esagerato, ma la cosa certa è che prima di ogni fans è la PGA Tour che spera in un suo ritorno ad alti livelli per poter così incassare dividendi maggiori, ad iniziare dal prossimo torneo in programma che avrà Woods nel proprio field; ovvero il Genesis Open al Riviera il prossimo 15 febbraio.

Detto questo, in America il golf non è certo in crisi, anzi è notevole e costante la presenza di sponsorizzazioni generose, ma mai come in questo momento nel mondo del golf si sta cercando comunque di rivoluzionare alcune formule che sembrano non attirare più un grosso interesse. Il PGA Tour è come approccio a questa questione molto conservativo, ancora di più dei cugini britannici che invece, almeno sul Tour Europeo, stanno andando verso formule di torneo più rapide e divertenti.

E allora al bando la noiosità di gare che durano quattro giorni o giocatori che impiegano quasi cinque ore per fare le consuete 18 buche, vere e proprie lumache, insomma.

A San Diego la corona del “lumacone” è andata all’ americano J.B Holmes che ha speso 4 minuti e 10 secondi per sparare il proprio secondo colpo al green alla sua ultima buca, dopo un interminabile conciliabolo con il proprio caddie. L’ unico, al pari di Woods, capace di scatenare una cascata di messaggi e di reazione sui vari social network.

Proteste di chi ovviamente non vedeva l’ ora che il torneo terminasse e di numerosi colleghi, che hanno giudicato poco sportivo l’atteggiamento di Holmes nei confronti dei suoi due compagni di gara Alex Noren e Ryan Palmer che da li a poco avrebbero dovuto giocarsi il torneo in un playoffs a tre con Jason Day.

A parziale discolpa di Holmes, con un miracolo avrebbe potuto chiudere anche lui al comando.

A proposito il torneo lo ha vinto poi proprio Jason Day alla sesta buca di playoffs giocata, per oscurità sopraggiunta domenica, solo il lunedì pomeriggio.
Come lunedì pomeriggio ?
Tanto per fare in fretta, ovviamente.