Cialtronaggio da corsa

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Sono passati pochi giorni da quando, sabato pomeriggio, Allan Simonsen è deceduto in seguito ai traumi per l’impatto contro le barriere, pochi minuti dopo lo start della 24h di Le Mans.

Non è ancora chiara la dinamica dell’incidente, anche se le immagini video amatoriali dalla tribuna, e dal camera car della vettura che lo seguiva, mostrano uno scarto anomalo a sinistra passando sopra un cordolo leggermente rialzato, e una Ferrari in testacoda poco più avanti. Presumibilmente Allan si è trovato a dover gestire lo sbandamento del posteriore dovuto alla vernice blu stesa oltre il saltino del cordolo, unito alla vista del fumo delle gomme lasciato dalla vettura in testacoda. Riesce comunque difficile credere che solo questo abbia potuto innescare un effetto così devastante.

Benché infatti Simonsen non fosse un pilota particolarmente conosciuto ai più, questi era tutto fuorché un improvvisato. I suoi trascorsi agonistici dicono anzi che era davvero un ottimo pilota. A giorni forse si saprà qualcosa in più su un traction control difettoso, o su una sospensione che ha ceduto, o come lascia pensare ai più, su una vernice stesa oltre il cordolo resa particolarmente viscida dalla leggera pioggerellina, e di una barriera extra di protezione stranamente inesistente.
Fatto sta che Allan non c’è più.
Chi c’è, sempre e comunque, sono invece i “giornalai” improvvisati, che non capiscono minimamente di motori. La corsa al titolone della prima ora è infatti stato un irrispettoso “Muore pilota alla 24H di Le Mans”, senza degnarsi di conoscerne il nome.
E via col processo mediatico contro la pericolosità delle corse.
Gli appassionati di vecchia data ormai ci hanno fatto il callo, rassegnati al fatto che, prima di tutto, siamo un popolo di inquisitori medi, di allenatori di nazionali di calcio (medi), di direttori sportivi al muretto Ferrari (medi), naviganti e poeti e da pochi anni anche astronauti. Ma soprattutto di grandi saggi…
Nascono così le tifoserie da tragedia: quelle che urlano che la gara andava interrotta per rispetto verso l’uomo, quelle che “The show must go home“, e quelle centriste che ricordano come il “Motorsport is dangerous“.
Sebbene quest’ultima sia l’affermazione più coerente, non vuol dire che si debba accettare a dita incrociate ogni possibile evento nefasto come se fosse normale amministrazione. Da qualche parte c’è una responsabilità, e questa va quantomeno ricercata per porvi un rimedio futuro. Nel caso specifico, se l’incidente è appunto la costante (sia essa errore o guasto tecnico) allora la variabile va cercata nell’area passiva, cioè nelle barriere e strutture di sicurezza. Questo significa che tutto quel tratto extra pista andrà ripensato (a mente serena), per far si che l’esperienza diventi tesoro. Non è infatti immaginabile che in una corsa, nata per far si che le case costruttrici testino i prototipi dei prodotti da utilizzare poi sulle vetture di tutti i giorni, ciò che viene a mancare possa essere proprio la sicurezza in pista. La tecnologia ingegneristica applicata al motorsport viaggia veloce, ma le piste hanno quantomeno l’obbligo di seguire queste evoluzioni con meno ritardo possibile, se non addirittura andare di pari passo.
Quanto alle altre domande, “lo spettacolo doveva continuare?” o “doveva venire prima il rispetto per la vita dell’uomo?” o entrando nello specifico “se l’incidente mortale fosse capitato a 2-3 ore dalla fine, si sarebbe interrotta la gara? E avrebbe fatto differenza se il competitor fosse stato Audi invece di un team della classe GTE?”, non sarebbero domande stupide, se fossero state poste da chi le corse le mastica abitualmente. Invece sono firmate appunto da “giornalai” dell’ultimo minuto, rei di cercare un pelo di mucca in un uovo di struzzo. Tutto per un titolo che, a loro pensiero, li renderà belli come adoni di fronte agli occhi del loro direttore. E d’altronde la bravura viene in secondo piano, se già è stata data loro la possibilità di occuparsi di un tale evento. Salvo poi non provare nemmeno a documentarsi sull’argomento.

Il “cialtronaggio” sarà il nuovo male del secolo!
Probabilmente, tornando alle domande, non avrebbe fatto differenza, perché la natura stessa della gara sta in quel numero 24 che indica il totale di ore da correre. Così è, punto!
Quindi?
Quindi Allan Simonsen non deve essere un pretesto per fare guerra alle corse, ne lui ne deve essere ulteriormente vittima, o peggio burattino dei cialtroni. Deve essere invece spinta propulsiva per trovare soluzioni nuove e lungimiranti, affinché si possano allontanare sempre più lo spettro della tragedia e i falsi perbenisti.
Fato? Sfiga o destino? Sono solo altre domande inutili.